3 apr 2015

Un infinito















Stai tra i biscotti e il latte, nel primo muscolo mosso sotto la coperta, nel primo pulviscolo, nel primo osso, nel primo tutto quel che guardo dalla finestra aperta. Tu stai.

Nel primo muro che vedo, nel primo componente d’arredo, nel duro colpo d’alzare il culo dal letto. Tu stai. 



Stai nella prima vocale che accarezzo colla lingua nella prima parola della giornata, anche quando la parola è ‘zzodifreddo.

Stai nell’abitacolo della mia punto grigio chiaro metallizzato, molto proletaria, con gli specchietti un poco più chiari che un cornuto me ne spaccò uno e uguali uguali non l’ho trovati, ma non ci fai caso che so’ più chiari, tu stai.

Stai nel riscaldamento che accendo, nel primo suono che sento, quando mi pento di essere uscito dalle lenzuola. Nell’ammasso di voci, stai. Nel primo sole tu stai, nel primo “sto solo”, in macchina, stai. Nel primo caffè che verso nella bocca e che mi fa schioccare le labbra come a darti un bacio da qualche parte lontana, tu stai.

Stai nelle tasche. Stai addosso, stai nella mia barba, ci stai. Stai nello stampo sull’etichetta del cappotto, stai nell’odore del pane cotto.

Stai sotto le palpebre, sottile sottana addosso, sottomessa superba puttana Santa e Santana nello stereo canta e stai tu.

Stai nelle marce, nel cambio, nel cambio d’umore, nel cambio di punto di vista, quando a primo mattino rivaluto in auto l’idea che ammazzare un vecchio rincoglionito in bici sia sbagliato.

Stai nella vibrazione del mio monitor, stai nel monito del tabellone delle scadenze, stai nelle assenze di pausa e nelle presenze felici, stai nelle cornici di ogni premio che non ho al muro, stai nel caldo sicuro del quinto caffè della mattinata, stai nella marmellata a mezzo mattino. Tu stai.

Stai nel pomeriggio, nel telefono e nei vaffanculo, ma pure nei toni di grigio di ogni sfumatura che faccio, stai nei movimenti del braccio mentre disegno, stai nel pennello pregno di colore giallo, stai nel ballo del dopopranzo, tu stai.

Stai nella cena, nel cibo che mangio, nelle carote che sfrangio per preparare il sugo, stai “tra il glicine e il sambuco” mentre ascolto De André, tu stai. In ogni rima forzata, in ogni ragno che tiro fuori dal buco, e che ci tenevo tanto a far rima con “sambuco”. Scusa. Tu stai.

Stai quando provo a prendere sonno e non riesco, e allora mi vesto ed esco, ma pure quando riesco a dormire e provo a sognarti con ogni frazione del mio cervello, nel brutto e nel bello, tu stai.

Stai perché sei qui ed ovunque, da uno a cinque stai un milione e mezzo, in ogni pezzo che scrivo, in ogni sì, nei no a volte, in ogni domani indefinito, tu stai, perché sei un infinito.

E va bene così.

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